so long, Frank Zappa

di Arshad Moscogiuri,  4 dicembre 2013

 

Come dimenticare quella mattina di vent’anni fa?

Allora lavoravo in una radio commerciale via satellite, Rete Otto Network, dove ero direttore della testata giornalistica e vivace conduttore di programmi.
Quando arrivai in redazione, ero triste per la scomparsa di quello che, per me, è stato e rimane il più grande musicista, autore, chitarrista e genio multiforme degli ultimi cento anni. Credetemi, avevo le lacrime agli occhi. In vita mia mi sono raramente commosso per la morte di persone mai conosciute; mi era successo dieci anni prima per John Belushi e mi sarebbe accaduto esattamente sei mesi dopo per Massimo Troisi. Quel giorno Frank toccò il mio cuore profondamente, sentivo tantissima gratitudine per quanto avesse cambiato, trasformato e rivoluzionato il senso stesso della musica. Grato per le sue composizioni, per il modo in cui raccontava la vita e per come estraeva suoni inarrivabili dalla sua chitarra, per la sua voce e per tutte le fumettistiche copertine dei suoi dischi di vinile. Riconoscente per quelle tracce che duravano più di venti minuti e che ogni tanto, durante le trasmissioni notturne in cui ero libero dai vincoli commerciali, ero felice di far godere ai miei ascoltatori.
Scrissi il pezzo che avrei letto in diretta col cuore colmo e palpitante e scelsi un suo brano che seguisse il notiziario.
Poi presi uno di quei grandi fogli che si usavano per le stampanti ad aghi e, con il pennarello più grosso che trovai, scrissi a caratteri cubitali: “ SO LONG, FRANK”.
Appesi l’improvvisato striscione sul box vetrato della redazione e tornai nella mia gabbia.
Non c’è niente di peggio che provare un dolore ed essere guardati come alieni.
Nessuno, in radio, capiva neppure chi fosse quel Frank. Quando me lo chiedevano, se ne andavano scuotendo il capo sconsolati; che c’era da essere tristi per la morte di un rockettaro drogato e irriverente, che non si riesce neanche a trasmettere per radio perché la sua musica risulterebbe fastidiosa e caotica?
Così, alla mestizia si aggiunse la solitudine del cuore, che è brutta cosa.
Poi vidi avvicinarsi una figura familiare, alta e snella: Premdhyan, amico e fratello di sempre, che a quei tempi lavorava nella stessa radio. Ci eravamo già trovati in un’altra emittente e in una televisione privata, sempre assieme, anche se in ruoli differenti. Per un breve periodo avevamo anche fatto un programma insieme, in una piccola radio locale, tutto su musica rock e non commerciale. Zappa era uno dei nostri trucchi segreti: ogni tanto sceglievamo uno dei suoi lunghissimi brani per avere il tempo di scendere a prendere un trancio di pizza, abbandonando irresponsabilmente la radio alle sue folli note e tornando appena prima della fine dei solchi. Avevamo condiviso la stessa casa, la stessa comune, ci accomunavano e ancora ci uniscono tante cose; soprattutto, tante passioni. Tra queste, sicuramente due che sono assai importanti per entrambi: la musica e Osho. A quei tempi, infatti, eravamo gli unici due sannyasin impiegati nella stessa radio. Premdhyan, detto PD, è un grande musicista; aveva fatto i numeri con la sua prima band, i Running Stream, e poi avrebbe regalato al mondo, anni più tardi, la Hierbamala.

Quella mattina però, mentre si avvicinava, potei distinguere i suoi occhi lucidi.
Ci venimmo incontro, in silenzio, e ci scambiammo un abbraccio infinito, proprio sotto lo striscione appeso con lo scotch.
Per condividere un dolore non servono parole, e quell’abbraccio muto fu un balsamo per il cuore. Avevo trovato un fratello, una spalla cosciente su cui piangere la morte di un nostro fratello maggiore.
Dev’essere che quell’abbraccio durò a lungo, perché quando ci staccammo commossi ci stavano guardando tutti, visibilmente stupiti.
Ma era ovvio che non ce ne fregava niente.
Ora avevo la forza e il sostegno per farlo. Toccava a me.
Presi i fogli ed entrai nella vasca per pesci della diretta.
Aprii il microfono e salutai per sempre Frank Zappa con voce calda e ferma, mentre mi scorrevano fiumi di lacrime dagli occhi.
Ma era gioia, pura gratitudine. La stessa che me li bagna oggi.

SO LONG, FRANK.

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