sapiens 3.0


Articolo di Arshad Moscogiuri, 25 agosto 2013

 

prima parte - LA SOPRAVVIVENZA DEL PIU' STRONZO

Quando Charles Darwin si decise finalmente a pubblicare "L'origine delle specie", il 1859 segnò una svolta epocale delle coscienze. Da una parte le idee del naturalista inglese sollevarono le reazioni delle chiese cristiane, dall'altra il plauso dei teorici del capitalismo. L'idea che le razze animali (e umana) fossero soggette a leggi naturali di evoluzione, selezione e adattamento cozzava decisamente contro l'idea di un Dio che crea esseri belli e pronti e che li seleziona di persona. Allo stesso tempo, il concetto di legge del più forte fu un ottimo pretesto a disposizione di economisti, filosofi e letterati per giustificare "scientificamente" l'iniquità della distribuzione delle ricchezze, la spietatezza delle leggi di mercato, la diseguaglianza sociale e sessuale, il razzismo, l'abuso delle risorse e i soprusi del capitale. Ne nacque il Darwinismo sociale, un mostro dell'intelletto che, seppure ignoto alle masse, ne ha permeato e ne inzuppa ancora la coscienza collettiva.
In parole povere, ogni volta che pensiamo o che sentiamo dire frasi come "il mondo è duro", "la vita è una lotta", "solo i più forti ce la fanno", aggettivi come "vincente" o "perdente", stiamo ragionando, agendo e comunicando in base a questo tipo di forma mentale. La società è vista come un campo di battaglia, dove non fidarsi di nessuno, dove chi fa da sé fa per tre, dove la paura è motore dell'inconscio e delle azioni che intraprendiamo.
Centocinquanta anni fa, si profilò davanti a noi un bivio angusto: una strada portava alla negazione delle evidenze scientifiche a favore dei dogmi religiosi cattolici, l'altra alla legittimazione teorica di un sistema economico-sociale profondamente iniquo, che stava costruendo il suo nuovo impianto di potere. Sembrava che, per abbracciare il progresso, bisognasse abbracciare anche la legge "naturale" della competizione e conseguente selezione dei vincenti. Che i perdenti fossero gazzelle e cervi, oppure operai e poveri, che si trattasse di gnu o di soldati, di vittime di un terremoto o di una guerra, tutto rientrava nella naturalità della legge di sopravvivenza, dove grande mangia piccolo. Tutto avrebbe addirittura giovato al miglioramento dell'umanità, cui sarebbero sopravvissuti solo i "fittest", i più adatti.
Il buon Darwin, che non era neppure razzista, sarebbe stato così involontariamente padre e fonte di ispirazione per molte deformazioni dell'umana consapevolezza, dalle teorie di Spencer sul capitalismo alla selezione della razza dei nazisti, dall'organizzazione industriale a quella sociale, fino ai governi dei giorni nostri.
Ma è davvero così? Se sopravvivessero solo coloro che sono più "forti", quelli che hanno meno scrupoli, i più egoisti, la natura starebbe davvero evolvendosi? Si tratterebbe della selezione dei migliori e più adatti, oppure dei peggiori e più stronzi?
Il nobile e rivoluzionario russo Alekseevic Kropotkin non è noto quanto Darwin, eppure le sue confutazioni alla legge del più forte e al darwinismo sociale iniziano già tra la fine dell'800 e l'inizio del '900. Se non fossimo ancora in pieno darwinismo sociale, a scuola si studierebbero le sue teorie e i suoi scritti, il dibattito scientifico e quello etico sull'evoluzione sarebbero fondati a partire dalle sue osservazioni.
E' stato lui a individuare la terza strada, quella che nessuno ha ancora percorso ma che, oggi, la stessa scienza reclama.

 

seconda parte - LA COMPETIZIONE SUICIDA

L'evoluzione non è determinata dalla competizione, ma dalla collaborazione.
Questa è la terza strada: attraverso l'osservazione scientifica, possiamo comprendere come la natura non sia basata su principi di lotta, bensì di cooperazione armonica. Kropotkin ha allargato lo sguardo oltre Darwin, ha avuto una visione dall'alto della natura, non influenzata da dogmi religiosi né da servilismi sociali.
Ha applicato il metodo dell'osservazione scientifica pura a ogni argomento che ha trattato, dalla scienza alla sociologia, dalla filosofia alla politica.
Questa attitudine, assieme agli atti coerenti della sua vita molto intensa, ne fanno un libero pensatore autentico.
Rifacendosi proprio agli studi di Darwin, Kropotkin nota come, nella maggior parte degli animali, gli istinti sociali siano tanto maggiori quanto la specie è evoluta. Le specie più evolute di ogni classe animale hanno istinti sociali molto forti, che sono certamente presenti anche nell'uomo. La chiave per la sopravvivenza e l'evoluzione della specie è nel mutuo soccorso, o mutuo appoggio: la collaborazione tra i singoli del gruppo. Un punto di vista destinato a sconvolgere le fondamenta della morale e della giustizia sociale; ecco perchè Kropotkin è molto meno noto di Darwin: perchè quelle fondamenta fraudolente non sono ancora crollate.
Ma il tempo prende il suo tempo, e ce ne vorrà probabilmente ancora perchè il concetto di cooperazione vada a sostituire quello di competizione.
Osho ha fatto un simpatico paragone tra Darwin e Kropotkin:

"Mi sono stupito molte volte: qualcuno dovrebbe provare a fare uno studio psicanalitico di Charles Darwin. Non ci ha ancora provato nessuno. Deve essere andato storto qualcosa tra lui e sua madre, da cui l'ipotesi della sopravvivenza del più adatto. Allo stesso modo, si potrebbe avere uno studio psicanalitico del Principe Kropotkin. Ci deve essere stata una profonda relazione d'amore tra lui e sua madre, così profonda che egli ha contraddetto Charles Darwin e ha provato a rimpiazzare la sua teoria della sopravvivenza del più adatto con la teoria della cooperazione. (...)
Ci deve essere una cooperazione quando cogli una mela dall'albero e la mangi; ci deve essere una profonda cooperazione tra te e la mela. Altrimenti, la mela creerebbe problemi al tuo corpo. Se ci fosse un conflitto, combatterebbe con te. Non si potrebbe mai permettere di essere assorbita dal tuo corpo, rimarrebbe nemica. Ma, semplicemente, si dissolve dentro di te, diventa il tuo sangue, diventa le tue ossa, diventa la tua carne. " ("The Beloved", vol. 2, cap. 4, 1976)

Che cosa succederebbe se una mela volesse diventare la più grande a spesa di tutte le altre mele dell'albero? Chiaramente questo non gioverebbe all'albero; anzi, sarebbe un danno per tutti i meli, che se seguissero questa tendenza evolutiva avrebbero una sola mela per albero, e poi un solo albero di mele che "vincerebbe" su tutti gli altri.
La natura decreterebbe la fine degli alberi di mele e del loro bizzarro metodo evolutivo, che potrebbe diventare nocivo per tutto l'ecosistema.
Questa è la situazione della nostra specie: con la legge del più forte, del più competitivo, l'umanità rischia il suicidio e diventa nociva per tutto l'ecosistema.

 

terza parte - DALLA COMPETIZIONE ALLA COLLABORAZIONE

“…Chiarire i meccanismi del comportamento etico e cooperativo dell’uomo, una conoscenza che potrebbe rivelarsi cruciale per la sopravvivenza della specie umana.” Questa breve citazione non è di qualche filosofo o maestro spirituale, ma appartiene a due neuroscienziati (Griffiths e Grob). Che l’essere umano necessiti di un passaggio radicale dalla competizione alla cooperazione è invece una considerazione evidente per chiunque.
La persistenza di modelli di produzione, sviluppo ed economia basati unicamente sulla competitività di stati, aziende, trust e finanziarie sta portando al collasso e facendo vivere in un inferno la stragrande maggioranza di un'umanità che, invece, potrebbe vivere su questo pianeta come in un Eden. La situazione è sempre più critica e meno sostenibile, e mentre i governi perseverano a raschiare il fondo del barile, inevitabilmente si avverte l'urgenza di un nuovo paradigma.
Non si tratta però solo di questioni sociali, politiche ed economiche, ma anche di andare alla radice interiore, squisitamente umana, che causa e sostiene un modello tendenzialmente suicida per la nostra specie. Di essere consapevoli dei condizionamenti, appropriarsi di una più ampia visione che unisca la realtà individuale a quella collettiva, per una trasformazione di entrambe.
E si tratta di farlo in armonia con la natura intera, oltre che con se stessi e gli altri.
Assieme allo stato sociale, alla distribuzione delle ricchezze, alla sostenibilità dell'equilibrio tra consumi, produzione e risorse, si impone una riflessione su queste radici che, volenti o nolenti, sono dentro di noi.
Sebbene per secoli siamo stati educati e abituati a considerare noi stessi come separati dagli altri e dall'ambiente circostante, è tempo di integrare le verità di quanto la scienza ci rivela: ovvero che tali separazioni sono pure illusioni. Non siamo separati in quanto parte di un ecosistema, di un'economia, in quanto parte di un insieme sociale; non siamo separati poiché tutti immersi in un conscio e inconscio collettivo. Non siamo separati considerando che ogni nostra azione, emozione o pensiero va a muovere quella fitta ragnatela cui tutto ciò che esiste o potrebbe esistere è collegato.
Laddove non bastasse il buon senso, possiamo prenderci la briga di scomodare la fisica, la fisica quantistica, l'antropologia, la psicologia o la neurologia per trovare conferme che, a ogni passo della scienza e della coscienza, sono davanti ai nostri occhi.
Continuare a comportarci come se fossimo i "dominatori della Terra" di biblica memoria, la razza o la classe dominante, a lottare e competere non per la vita ma per la sopravvivenza; vivere come se esistessimo solo noi, sconosciuti a noi stessi, e tutto il resto e tutti gli altri fossero un semplice scenario per contornare la nostra esistenza... è assoluta follia. Non si tratta solo di principi etici, morali, filosofici.
Si tratta di attitudini di vita, di trasformazione interiore, di nuovi punti di vista e scelte coerenti.
Concepire la vita come una gara da vincere o perdere è un processo che inizia con noi stessi, con quello che ci aspettiamo o non ci aspettiamo ognuno da se medesimo, dai giudizi che ogni individuo si auto-applica. E' qualcosa che si trasmette in famiglia, che si respira a scuola, nei giochi, che si vive nel mondo del lavoro e nella maggior parte dei rapporti umani.
Riconoscere che i condizionamenti sono dentro di noi è l'inizio della trasformazione per lasciarli andare. La sostituzione della competizione con la collaborazione non è un ideale, ma una pratica di processi di coscienza che passano attraverso lo spogliarsi dei limiti stessi che ci hanno formato e preparato per la vita sociale. Un processo che continua con la consapevolezza e l'azione responsabile, diventando in prima persona pionieri e portatori sani di una nuova coscienza, di nuove educazioni, di nuove relazioni.

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